Se mi sposi non ti rovino

In rete gira una citazione, erroneamente attribuita a Charles M. Shulz, padre di Charlie Brown, che recita “La calma è la virtù di chi non è coinvolto.” Ma si può non essere coinvolti da una separazione, dalla fine del legame dal quale è nata una famiglia?

– Ti porterò via tutto! –
– Da me non avrai nulla! –
– Questa casa è mia! –
– Ci vediamo in tribunale! –

I titoli di coda di un matrimonio. In questi casi si pensa che compito dell’avvocato debba essere quello di prendersi il peso della vostra separazione, il fardello del vostro “fallimento”, caricarselo sulle spalle e andare in tribunale a combattere contro un altro legale altrettanto agguerrito, assoldato dal vostro ex partner.
Scopo della guerra: ottenere l’assegnazione della casa famigliare, un pingue assegno di mantenimento, l’affidamento dei figli…
Nel mentre voi rimarrete lì, ai bordi di quell’arena, fermi a guardare. Ma si sa, non si può mai caricare il dolore sulle spalle di qualcun altro sperando che scompaia dal nostro cuore così come non si può mai scommettere su una piena vittoria ai giochi gladiatori.

C’è quindi un modo per evitare l’incertezza delle sorti di una battaglia in un’arena e al contempo suturare le ferite, per “guarire” e ricominciare a vivere?
Oggi esistono metodi alternativi per addivenire ad una separazione o ad un divorzio, evitando inutili spargimenti di sangue nelle aule d’udienza. Tra le varie procedure si annovera la pratica collaborativa.

Potrei dirvi che la pratica collaborativa è la panacea di tutti i mali, che finalmente è arrivato un metodo che vi permetterà di narcotizzare il dolore, chiudervi in casa per un paio di settimane e uscirne poi separati (o divorziati), con rinnovata fiducia verso il mondo e l’amore.
Non è così, non posso farlo. Non sarei sincera. La pratica collaborativa non v’impedirà di soffrire, non allontanerà da voi il dolore come un potente oppiaceo; ciò che farà sarà indirizzarvi verso la risalita, rendervi protagonisti di tutte le scelte importanti che riguardano la vostra famiglia e che fino ad oggi avevate lasciato nelle mani della sorte in un’aula di giustizia.

Compito della pratica collaborativa non è anestetizzare i conflitti ma traghettare due persone che si sono amate in passato dalla dimensione della rabbia a quella del confronto, per trovare soluzioni comuni, le migliori per voi, quelle che diventeranno le fondamenta per la vostra rinascita di domani.
Facendo in modo che separazioni e divorzi non debbano più iniziare con dialoghi del tipo:

 

– Sua moglie ha un legale? –
– Non lo so. Ha dei rottweiler. –
– Non è un buon segno. –

(“Prima ti sposo, poi ti rovino”, di  Joel & Ethan Coen)

dott.ssa Roberta Taverna

Patrocinatore legale presso lo “Studio Legale Vaccaro” di Alessandria. Ha frequentato corsi di giornalismo, collabora con il sito MeLoLeggo. Ha creato e coordina Inkbooks.

Commenti

Chiara Demichelis – 26-Mar

In base a quanto ho potuto verificare nelle aule di Tribunale, il vero percorso che indica la dott.ssa Taverna per risolvere la crisi coniugale, cioè passare dalla rabbia al confronto, percorso che è indispensabile per somatizzare il fallimento, inizia per i clienti solo dopo che il giudice si è pronunciato, alla fine della carta bollata.
Ma perché attendere? Perché non affrontare subito, proprio con la pratica collaborativa, il nocciolo del problema, al fine di risolverlo, e farlo con successo?
Magari con al guinzaglio un labrador e non un rottweiler…..

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